Biografia
Nato il 14 gennaio 1921 a Orsogna, in provincia di Chieti, Mario Pomilio è primo di tre fratelli: dopo di lui nasceranno Ernesto e poi Tina. Il padre, Tommaso Pomilio, maestro elementare, è un socialista; la madre, Emma Di Lorenzo, è profondamente cattolica («Due radici che sento in me ancora oggi», dirà lo scrittore qualche decennio più tardi).
Presto la famiglia si trasferirà a Lanciano, per stabilirsi poi definitivamente, a partire dal 1927, ad Avezzano, il grosso centro della Marsica ai bordi della conca del Fucino, impegnato, all’epoca, a riprendersi dagli effetti del devastante terremoto del 13 gennaio 1915, che l’aveva rasa completamente al suolo.
Ad Avezzano Pomilio trascorre l’adolescenza e la prima giovinezza. Pur in un ambiente depresso e provinciale, come poteva essere un centro della Marsica negli anni del fascismo, Pomilio incontra qui personalità di alto rilievo culturale e umano: professori come Mario Gambarin (curatore per i classici Laterza delle opere dell’Ariosto e più tardi impegnato in prima linea nella resistenza veneta), Giulio Butticci (amico di Croce e più tardi fondatore del Partito d’Azione nella Marsica), Ferdinando Amiconi (che sarà condannato dal Tribunale speciale per aver fondato ad Avezzano una cellula comunista), Emiliano Felli (già alunno della Scuola Normale Superiore di Pisa, che faceva vivere ai suoi allievi qualcosa di quel clima intellettuale). Sono tutti intellettuali in odore di antifascismo e per questo allontanati dalle loro sedi d’insegnamento e «decentrati» nel liceo di Avezzano. Con loro, e attraverso l’avversione al fascismo di suo padre (che subirà anche un breve periodo di detenzione per le sue idee politiche), Pomilio matura la sua decisa posizione antifascista. Anni decisivi per la sua formazione, di cui darà testimonianza in uno scritto autobiografico pubblicato in un volume a più voci, La generazione degli anni difficili (Laterza 1962).
Fin dagli anni della pubertà Pomilio si cimenta in prove letterarie, soprattutto in versi, dove dimostra un talento precoce e sicuro, con una padronanza dei mezzi espressivi e una cultura poetica e linguistica davvero sorprendenti per l’età. Ma, soprattutto, sono anni di grandi letture, a cui si dedica con una curiosità intellettuale che la modesta biblioteca comunale della cittadina marsicana non riesce a esaudire. Ma fa una scoperta: quella di una biblioteca di antichi testi, in prevalenza sacri, che trova nelle stanze una volta abitate da un suo antenato sacerdote e ormai ridotte in stato di abbandono della casa Archi nel chietino, il paese originario del padre dove il giovane Pomilio si reca per trascorrere le vacanze. È anche da un episodio come questo, con la scoperta della ricchezza e della varietà della tradizione religiosa, che Pomilio maturerà, molti anni più tardi, il progetto del Quinto evangelio (vedi in particolare La giustificazione del sacerdote Domenico De Lellis, che evoca quella lontana suggestione).
Nel 1939 Pomilio consegue la maturità classica ed è ammesso per concorso alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nella Facoltà di Lettere: come egli racconta, l’ammissione alla Normale è una delle «buone venture» della sua vita, sia per il prestigio di questa sede universitaria, sia perché, date le modeste condizioni economiche della sua famiglia, diversamente non gli sarebbe stato possibile stabilirsi in una città per frequentare regolarmente le lezioni.
A Pisa, egli giunge (come dirà lui stesso) con «ambizioni indefinite e un quadernetto di poesie in fondo alla valigia» (che, però, lascerà in quel «fondo»: il competitivo ambiente accademico pisano difficilmente avrebbe dato credito alle ambizioni letterarie di una matricola provinciale…).
Gli anni degli studi universitari sono profondamente formativi non solo per lo scrittore, ma anche per il saggista (come noterà Pietro Gibellini in un importante contributo, sarà sempre viva in lui una vena saggistica se non filologica). Sono anni di incontri importanti con diversi maestri di prestigio: Luigi Russo, Guido Calogero, Delio Cantimori, Cesare Luporini e Giovanni Macchia (quest’ultimo lo avvicinerà alla cultura francese, che avrà poi grande influsso specie nelle prime opere narrative di Pomilio). Ma sono anche anni in cui si consolidano le sue posizioni politiche antifasciste, con l’adesione al movimento liberal-socialista, che più tardi confluirà nel Partito d’Azione, dove approderà anche Pomilio.
In questi anni Pomilio si distacca dalla fede religiosa («quasi senza accorgersene» e quasi «per una naturale estensione dell’idea di libertà», scriverà più tardi) e dà inizio alla sua attività di critico, con due saggi, uno su Svevo e un altro su Pirandello, pubblicati nel 1942 su «Letture d’oggi», rivista diretta a Macchia con Giambattista Vicari.
Chiamato alle armi nel 1942 e assegnato a un reparto di fanteria, Pomilio lascia Pisa per prestare servizio all’Aquila come soldato semplice.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando l’esercito italiano si sbanda, Pomilio torna ad Avezzano proprio quando le truppe tedesche vi si sono insediate. Avezzano è a ridosso del fronte di Cassino e, ben presto bombardata e distrutta, viene abbandonata da gran parte degli abitanti. Anche Pomilio, insieme alla famiglia, si allontana dalla città ed entra nella clandestinità; si unisce a un gruppo di partigiani che però, a causa dell’arresto di alcuni suoi componenti, non ha tempo di organizzarsi operativamente.
Nel 1944, quando le truppe degli Alleati arrivano nella Marsica, torna ad Avezzano e si applica nuovamente ai suoi studi, laureandosi nel 1945 con una tesi su «Pirandello narratore».
L’esperienza della guerra sarà al centro del racconto lungo Il cimitero cinese e del frammento, ad esso accostabile, Ritorno a Cassino; ma detterà anche una delle prove giovanili, il racconto I partigiani, scritto alla fine del ’44 e pubblicato solo di recente a cura di Federico Francucci in una recente edizione del Cimitero cinese (Studium 2013).
Gli studi delle carte pomiliane conservate a Pavia hanno portato all’attenzione anche altri frammenti interessanti, da far risalire agli ultimi anni della guerra; uno dei più antichi è stato pubblicato da Mirko Volpi, col titolo Notte di Carnevale, nel volume-omaggio per Maria Antonietta Grignani La scatola a sorpresa (Cesati 2016).
Gli anni fra il ’45 e il ’49 sono anni di grande fermento: Pomilio esordisce nell’insegnamento, tenta le prime prove narrative e si dedica attivamente all’attività politica nel Partito d’Azione. Allo scioglimento del partito passa alle file dei socialisti, seguendo Lombardo Radice e nel 1948 dirige la campagna elettorale del Fronte democratico popolare nella Marsica. Nel ’49 si trasferisce a Napoli, dove ha ottenuto una cattedra presso il liceo «Vincenzo Cuoco»: un trasferimento che coincide con il progressivo allontanamento dalla politica attiva.
Nel 1950 ottiene una borsa di studio e soggiorna per più di un semestre in Belgio, conducendo ricerche nelle biblioteche di Bruxelles, Lovanio, Gand per uno studio molto ampio e ambizioso sul concetto di furor incentrato sul neoplatonismo, per riannodare i fili della storia «d’una idea estetica che percorre in sottofondo la cultura europea dal Trecento all’Ottocento».
Tornato in Italia, nell’estate del 1951 sposa Dora Caiola da cui, anni dopo, avrà due figli, Annalisa e Tommaso. Nel dicembre di quello stesso anno si trasferisce a Parigi, dove resterà fino al giugno successivo, con una borsa di studio che gli consente di continuare le sue ricerche sul neoplatonismo fiorentino e sulla sua penetrazione nella cultura del Centro Europa e della Francia.
Uno studio in cui Pomilio profonde molto impegno, con ricerche per le quali accumula una grande mole di materiali e appunti, ma che è destinato a restare allo stadio di abbozzo. Solo alcuni frammenti verranno pubblicati su rivista: da Una fonte quattrocentesca de «I Sepolcri» del Foscolo (in «Delta», n. 5,1953) a Una fonte italiana del «Ciceronianus» di Erasmo (in «Giornale di filologia», n. 3,1955), Petrarca e l’allegoria (di cui un campione è stato poi pubblicato a cura di Giacomo Prandolini, presso la «Rivista di letteratura italiana», nn. 1-3, 1996, e poi ricostruito da Cecilia Gibellini, che ha curato il volume di quelle ricerche, Petrarca e l’idea di poesia, Studium 2016); ma anche l’ampio saggio Gusto episodico e coscienza letteraria nella «Vita» del Cellini (in «Convivium», n. 5, 1951) è da considerarsi parte di questa linea di ricerca.
Quest’esperienza di studio internazionale sarà di particolare importanza anche per il Pomilio scrittore, sia per il laboratorio del Quinto evangelio e per la sua stessa costruzione narrativa, sia per le sue opere narrative: il suo secondo romanzo, Il testimone (Massimo 1956), è ambientato a Parigi, mentre la narrazione del Cimitero cinese si svolge lungo le coste della Manica, tra Belgio e Francia, la narrazione del Cimitero cinese; ma, più in generale, le sue opere degli anni ’50 dimostrano un’ispirazione profondamente «francese», nello sviluppo di climi, modi e temi fra Bernanos, Mauriac e Simone Weil oppure, più a monte, Pascal. Agli anni di quella esperienza «nordica» risale anche la «scoperta» del pensiero di Kierkegaard.
In questo periodo di studio Pomilio compone versi che videro la luce solo su riviste e plaquette, e soltanto postumi furono raccolti in volume, con il titolo Emblemi a cura del figlio Tommaso (Cronopio 2000).
Al rientro in Italia, nell’estate del ’52, Pomilio soggiorna a lungo a Teramo, dove è commissario per la maturità liceale. È questa la città che fa da sfondo al suo primo romanzo, L’uccello nella cupola (Bompiani 1954, premio Marzotto per l’opera prima), e soprattutto, più avanti, a La compromissione.
A partire dall’ottobre, torna a Napoli, dove entra in contatto con un gruppo di scrittori e intellettuali col quale instaura un sodalizio intellettuale che lo accompagnerà per tutta la vita. Si tratta di scrittori come Luigi Compagnone, Luigi Incoronato, Domenico Rea, Leone Pacini Savoj, Gianfranco Vené e soprattutto Michele Prisco, che ne incoraggerà l’esordio narrativo e lo sosterrà presso l’editore Valentino Bompiani. A partire dal ’60 darà vita con questo gruppo alla rivista «Le ragioni narrative».
Dopo L’uccello nella cupola e Il testimone, due romanzi che sono una sorta di «noir» spirituali d’introspezione in cui si sente la lezione di Bernanos o di Mauriac, Pomilio pubblica Il nuovo corso (Bompiani 1959), «apologo» sulla libertà, ispirato ai fatti d’Ungheria del ’56. Ma, prima, su rivista («La fiera letteraria», 20 aprile 1957) e antologia (La nuova narrativa italiana, a cura di Giacinto Spagnoletti, Guanda 1958), il racconto lungo «di dopoguerra» Il cimitero cinese, imperniato sull’incontro fra due giovani, lui italiano e lei tedesca, che sentono ancora vive nella loro coscienza le ferite della guerra. Il racconto sarà pubblicato in volume solo nel ’69 presso Rizzoli, dando il titolo alla raccolta delle opere di Pomilio degli anni ’50.
Sette anni dopo Il nuovo corso, nel ’65, verrà pubblicato presso Vallecchi La compromissione. Il romanzo esce al culmine di una stagione di militanza critica e creativa con il gruppo delle «Ragioni narrative», ma anche di attiva presenza in molte delle sedi importanti del dibattito letterario dell’epoca, come «La fiera letteraria» e «Il caffè»: interventi che verranno poi pubblicati nella raccolta di saggi dal titolo Contestazioni (Rizzoli 1967).
Nel romanzo, cui verrà assegnato il premio Campiello, si prolunga e allarga la riflessione amara sulle tematiche di ordine etico-politico delle opere precedenti, calandola sul terreno storico degli anni dell’immediato dopoguerra, fra il ’45 e il ’48.
Gli anni fra il ’60 e il ’66 sono densi di attività. Come Pomilio stesso ricorderà in una memoria, apparsa per la ristampa della Mitografia del personaggio di Battaglia (Liguori, 1991), grazie al lavoro presso «Le ragioni narrative» nasce un rapporto di amicizia e di sodalizio con Salvatore Battaglia, titolare della cattedra di Letteratura italiana all’Università Federico II di Napoli, che lo inviata a tenere corsi di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università. Fra il ’62 e il ’63 tiene così alcuni cicli di lezioni da cui nascono i suoi studi monografici Dal Naturalismo al Verismo, La fortuna del Verga e La formazione critico-estetica di Pirandello (editi nel ’66 da Liguori). Ed è in particolare in questoperiodo che Pomilio elabora i saggi che più tardi progetterà di raccogliere in un volume da intitolare Scritti sull’ultimo Ottocento, pubblicato poi soltanto postumo a cura di Mirko Volpi (Prospero 2017).
La collaborazione con l’Università s’interrompe nel 1963, quando opterà per una cattedra di Letteratura poetica e drammatica presso il Conservatorio «San Pietro a Maiella» di Napoli, privilegiando la vocazione di scrittore a quella di studioso (benché entrambe nella sua produzione siano sempre state strettamente correlate).
Negli anni successivi Pomilio è alla ricerca di nuovi moduli espressivi che gli permettano di rappresentare il «dissesto» estetico e morale che egli riscontra nella società italiana e nella parallela crisi della narrativa. La ricerca lo porta a scrivere una serie ai racconti «metafisici» e metatestuali, Il cane sull’Etna, che egli pubblicherà in volume solo una decina di anni più tardi (Rusconi 1978), con il sottotitolo di Frammenti di una enciclopedia del dissesto (a uno dei racconti, Il vicino, era già stato assegnato nel ’68 il premio Teramo). Una ricerca che approderà, attraverso un lungo lavoro di elaborazione, a quello che da molti è considerato il suo capolavoro, Il quinto evangelio (Rusconi 1975), e che certo è una delle narrazioni di maggior impegno e novità linguistica e strutturale fra quelle uscite in quegli anni. Il dramma che chiude il romanzo, Il quinto evangelista (già premio Flaiano per il teatro) verrà rappresentato da Orazio Costa Giovangigli a San Miniato (Pisa) in una grande produzione del Teatro Stabile dell’Aquila, con testo ampiamente «riadattato» da Pomilio stesso alle esigenze della rappresentazione e che nel 1986 sarà pubblicato, con una nota accompagnatoria dell’Autore, presso le Edizioni Paoline.
Il quinto evangelio otterrà – oltre a un vastissimo successo di pubblico – diversi riconoscimenti, nazionali e internazionali: dal Premio Napoli al Prix pour le meilleur livre étranger (Parigi), al premio Pax (Varsavia).
L’opera ha avuto numerose edizioni, tra cui quella, comparsa presso L’Orma Editore nel 2015, a quarant’anni dalla sua uscita e nel venticinquennale della scomparsa di Pomilio, contenente la stesura da lui riveduta del dramma Il quinto evangelista.
Negli anni successivi Pomilio pubblica Scritti cristiani (Rusconi 1979), un volume di saggi e scritti autobiografici sulla sensibilità cristiana nel mondo contemporaneo, di cui alcuni di grande utilità per l’interpretazione de Il quinto evangelio e dirige, affiancato da Piero Rossano, l’ambiziosa collana di «Testi della spiritualità», con opere di tutte le religioni, che gi viene affidata dall’editore Rusconi.
Continua però anche a scrivere; nel 1983 esce Il Natale del 1833 (Rusconi, premio Strega), romanzo-saggio da lui stesso definito manzonianamente «componimento di storia e d’invenzione», che trae ispirazione dall’omonima lirica «interrotta» di Alessandro Manzoni e scava sui motivi (biografici, letterari, metafisici, morali) che ne hanno determinato l’incompiutezza.
Nello stesso anno esce, sulla «Nuova rivista europea» diretta da Giancarlo Vigorelli, un suo ampio frammento di romanzo dal titolo originale (e non casuale) di Il racconto interrotto, ideato nel lontano 1964, probabilmente all’interno del ciclo del «dissesto». In questo lungo racconto si ripresentano, attraverso la figura di un autore all’opera su un progetto di racconto «interrotto», per l’appunto, e «abbandonato come un guscio vuoto», le stesse interrogazioni che avevano animato gran parte dell’ultima fase della sua produzione, dal Cane sull’Etna al Natale del 1833.
Pomilio provò, negli anni successivi, a lavorare ancora su questo frammento, ma la malattia che lo aveva colto fin dall’inizio degli anni ’80 (un’artrite reumatoide che lo debilitava con terribili dolori), il cui avanzare coincise con l’allargarsi di un sentimento di dimissione e di abbandono che egli già aveva espresso in quelle pagine, sembra averne paralizzato l’estro creativo.
Dopo aver subito diverse dolorose operazioni per recuperare la funzionalità degli arti, nell’autunno dell’89 gli venne riscontrato un tumore all’apparato respiratorio. Morì a Napoli il 3 aprile 1990. L’anno successivo, presso Rizzoli, uscì Il racconto interrotto, a cura di Vigorelli, col titolo che era stato già attribuito al frammento pubblicato in rivista: Una lapide in via del Babuino.