Il quinto evangelio

Rusconi, Milano, 1975
Il quinto evangelio (1975)
Il quinto evangelio (1975)
Risvolto della prima edizione

Il quinto evangelio rappresenta un punto fermo nella narrativa italiana contemporanea. E un’opera originalissima per tema e per struttura, per il livello dei problemi che vi si dibattono e per la varietà delle invenzioni e delle tecniche espressive: un libro tutto d’immaginazione, che però ha il suggello della più assoluta credibilità; una storia eccentrica, ma «possibile», dell’anima cristiana, e al tempo stesso una lunga favola; una straordinaria vicenda «storica» e insieme uno specchio della sensibilità religiosa d’oggi. In Germania, a Colonia, nel 1945, all’interno della canonica d’una chiesa bombardata, Peter Bergin, un giovane ufficiale americano, trova alcuni documenti che lo mettono sulle tracce d’un vangelo inedito, e dopo mille esitazioni scommette la propria vita nella ricerca di esso. Alla fine riunisce i materiali che ha scoperto, lettere, versi, racconti, frammenti, leggende, biografie, autobiografie dei più diversi «avventurieri della fede» – santi, eretici, mistici, ribelli, credenti e non credenti – che come lui hanno creduto nell’esistenza d’un quinto vangelo autentico quanto i quattro della tradizione, lasciandosene guidare nelle loro scelte e nei loro dissensi. Sullo sfondo dei duemila anni di storia del cristianesimo si disegna così una complessa vicenda – che col procedere delle pagine diventa narrazione sempre più vivida e serrata – di illusioni, di contrasti, di destini intrepidi e spesso tragici, talora d’eresie. Ma quella di Bergin non è stata soltanto una ricerca di studioso, è stata anch’essa un’avventura umana: dopo la sua morte i discepoli scoprono tra le sue carte un dramma nel quale egli ha rivissuto i mille interrogativi suscitatigli dal miraggio d’un vangelo sconosciuto. Questo, in sintesi, il tema del romanzo durante il quale, come fa Bergin, il lettore non cesserà di domandarsi se il quinto vangelo, esista veramente o sia piuttosto un mito, una leggenda, la proiezione delle mille tensioni che suscita sempre il contatto con i Vangeli, e alla fine del quale s’accorgerà con sorpresa d’aver scoperto un’opera attualissima, una specie di grande metafora delle ansie e dei fermenti religiosi dei nostri anni.

Il quinto evangelio (2015)
Il quinto evangelio (2015)
Risvolto della riedizione con nota archivistica di Wanda Santini e un saggio di Gabriele Frasca, L’orma, Roma, 2015

A distanza di quarant’anni dalla pubblicazione, sempre più Il quinto evangelio appare «uno degli ultimi grandi romanzi italiani» (come lo definisce Gabriele Frasca nel potente saggio incluso in questa nuova edizione, la quale riporta anche – grazie alle carte depositate al Fondo di Pavia – un insight nel suo travagliato processo compositivo). Composto negli stessi anni di Petrolio di Pasolini e degli ultimi racconti di Manganelli, è loro accomunato dalla «filologia fantastica»: presentandosi come raccolta di materiali dei quali l’autore si finge mero trascrittore. Così rinnovando, moltiplicandolo, lo stratagemma – di anche manzoniana memoria – del “manoscritto ritrovato”. Ma dando pure vita, come a caldo annotò lo stesso autore, a «un’opera totale che oltrepassa le solite barriere dei generi letterari e riesce insieme narrazione e saggio, dibattito d’idee, fantasia e, possibilmente, poesia». Ora, se c’è un testo che vive la sua unità, da sempre, nella collazione di versioni diverse questi sono appunto i Vangeli: da sempre facendo immaginare una fonte ulteriore, più vicina alla Parola di Cristo. È questa l’«emozione culturale» che ha ispirato a Mario Pomilio la vicenda di Peter Bergin, soldato americano che nel 1945, in una canonica bombardata di Colonia (sul finire, dunque, del «buio allo stato puro» della guerra: come in due altri capolavori degli stessi anni, L’arcobaleno della gravità di Pynchon e Horcynus Orca di D’Arrigo), scopre dei materiali relativi proprio al mitico quinto evangelo. Inizia così una quête, che utilizza con inquietante frequenza l’apocrifo Vangelo di Tommaso (scoperto, giusto nel ’45, nel sito gnostico di Nag Hammâdi) e diviene la più profonda metafora del tormentato rapporto con la fede degli uomini del nostro tempo (nella «sfida sperimentale», come la definì l’autore, che meglio ha interpretato lo spirito del Concilio). Perché se «Iddio ci ha parlato una volta per tutte, attraverso i Vangeli» il suo silenzio, da allora, va preso «come un mutismo deliberato. O, più verosimilmente, come una delega permanente della Parola. Spetta ora a noi parlare di lui, e se è possibile in nome suo».

Andrea Cortellessa